Ott 01

Attenti a demonizzare il cibo ecco le regole per mangiare bene

MILANO – Sovrappeso, intossicati, malnutriti: mai la Quaresima degli ultimi anni è risultata tanto afflitta e depressa. Se la nuova piramide alimentare varata a inizio anno dai nutrizionisti americani aveva lasciato poco o nullo spazio alle trasgressioni gourmand, le ultime dichiarazioni di Umberto Veronesi hanno gettato gli italiani nello sconforto. L’ elenco dei cibi «cattivi» era già tristemente abbondante: sotto embargo gli alcolici, i dolci, e i fritti, da guardare con sospetto i formaggi, salute a super rischio per gli irriducibili di carne & affini. Ma l’ oncologo, ex ministro della sanità, è andato oltre: condannando anche le farine e il latte, ha lasciato milioni di famiglie ad affrontare un futuro alimentare a scartamento ridotto: da scegliere, per nutrirsi, frutta, verdura e pochissimo altro, sia in qualità che in quantità. Ma non tutti gli esperti concordano con Veronesi. Almeno non in questi toni così duri, che tanto hanno allarmato i cultori di polenta e formaggi.

Certo, ormai è assodato che l’ ortofrutta rappresenta di per sé una bella fetta della dieta ideale: le famose cinque porzioni che ci perseguitano da quando ci alziamo – frutta a colazione – all’ ultimo boccone della cena – la mela digestiva – sono un obbligo morale a cui è difficile sfuggire, anche se gli ultimi rilevamenti parlano di una contrazione piuttosto drastica nei consumi (da 349 a 300 kg procapite negli ultimi 24 mesi). Allo stesso modo, abbiamo imparato che le carni rosse vanno consumate con parsimonia, esattamente come gli alcolici, che gli zuccheri raffinati – così come le farine – vanno sostituiti con quelli integrali, che non esiste condimento più sano di qualche cucchiaio di un buon extravergine.

Pane e latte (più o meno l’ altra faccia di polenta e formaggio) sono una new entry angosciante. Il nutrizionista milanese Vanni Zacchi in linea di principio concorda con Veronesi: guai a sottovalutare l’ inquinamento dei cibi. I distinguo, però, sono tanti, «perché parlare di cibi cancerogeni significa lanciare un messaggio sbagliato». Proviamo a capire. Intanto, demonizzare solo la polenta è restrittivo, perché le micotossine (di cui le aflatossine fanno parte) non si limitano certo al mais, ma attaccano dal grano ai fagioli. Il disastro, insomma, si allarga a macchia d’ olio sull’ intero ventaglio di cereali e legumi. Però. «Però le aflatossine sono generate dalla cattiva conservazione e da una troppo lunga immobilizzazione, nei silos come nei sacchi di juta, dove l’ umidità funge da terreno ideale di coltura. Non a caso, un buon deterrente è l’ aggiunta di acido ascorbico, la vitamica C, che limita molto lo sviluppo delle micotossine». Quindi, meglio prendere le distanze dai prodotti dimenticati in dispensa, a cominciare da farine e pane.

Attenzione, dicono gli esperti, anche a quello lasciato a lungo in congelatore, visto che il successivo passaggio nel forno sollecita lo sviluppo delle micotossine: gonfiore e meteorismo intestinale dopo il consumo di questi alimenti sono sintomatici della presenza delle aflatossine, che sono davvero micidiali per il fegato. Il latte è legato al percorso delle farine per colpa del cambiamento nel modo di alimentare gli animali allevati. Se si passa da erba e fieno agli insilati, ecco schizzare a mille il rischio di contaminazioni. Le tossine passano dall’ animale al latte e nulla può inibirle, nemmeno la pastorizzazione, perché sono termoresistenti.
Spiega Zacchi: «Ancora una volta, non è l’ alimento a essere cancerogeno (e questo vale anche per la carne, che pure sappiamo dobbiamo mangiare con parsimonia): lo diventa in quanto veicolo di sostanze cancerogene. Non dimentichiamo gli inquinanti dell’ aria e della terra, fertilizzanti e pesticidi in primis. In queste condizioni, anche l’ insalata diventa cancerogena, altro che verdura benefica».


Data
: 16.03.2005
Autore: Licia Granello per Repubblica
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