Ott 01

Arretra la dieta mediterranea così tramonta il mito italiano

MILANO – “Italiani, addio penne? I rincari degli alimenti penalizzano la dieta degli italiani”. Il titolo del “Wall Street Journal”, a commento della giornata inaugurale del vertice Fao in corso a Roma, è di quelli da allarme rosso.  Secondo il quotidiano americano, infatti, “i continui rincari dei generi alimentari costringono anche gli inventori della dieta mediterranea a ridurla drasticamente a favore di cibi-spazzatura ricchi di grassi, zuccheri e sale. Ormai, i più poveri tra gli italiani si alimentano sempre di più come gli americani poveri”.Sarà vero? Alcuni dati inquietanti sembrerebbero iscriverci di diritto alla black list dei peggiori mangiatori d’occidente. Per esempio, i nostri bambini sono tra i più sovrappeso d’Europa, l’incidenza delle malattie legate almeno in parte alla cattiva alimentazione – diabete, ipertensione, scompensi cardiocircolatori, arteriosclerosi – è in innalzamento costante, così come crescono i casi di scompenso alimentare (anoressia e bulimia).Il “Wall Street Journal” ha messo in relazione pance dilatate, inflazione a mille e contrazione delle vendite per accusarci di aver tradito la dieta mediterranea in favore del junk-food, con gli effetti nefasti che il governo americano verifica quotidianamente sui propri cittadini.Ma le cose non stanno esattamente così. Certo, mangiamo sempre meno pasta. Negli ultimi trent’anni, abbiamo diminuito il consumo di oltre dieci punti in percentuale, arrivando alla miseria di ventotto kg procapite. Eppure, se alziamo gli occhi sul resto del pianeta, scopriamo che nella classifica dei “mangia-maccheroni” guardiamo tutti da molto in alto.I primi aficionados della pasta dopo di noi sono i venezuelani, che ne consumano tredici kg l’anno, seguiti da Tunisia, Grecia e Svizzera. In Francia, nazione sugli scudi della salubrità alimentare grazie al cosiddetto paradosso francese – ovvero la minor incidenza di patologie cardiovascolari connessa al consumo di vino rosso, ricco di flavonoidi – ne mangiano sette kg e mezzo, quasi un quarto della nostra quota.

 Come dire che i modelli alimentari “buoni” non dipendono necessariamente dalla quantità di pasta ingerita. Il nutrizionista Vanni Zacchi si spinge più in là: “Parlare di ridotto consumo della pasta come agente di cattiva salute mi sembra un errore. Io credo che sia vero l’esatto contrario: noi mangiamo ancora troppa pasta. O meglio, i ventotto kg procapite andrebbero anche bene, perché equivalgono più o meno agli 80 grammi quotidiani in linea con le più accreditate tabelle nutrizionali. Ma in realtà, viviamo in costante eccesso di carboidrati, perché aggiungiamo pane, ben oltre i 60 gr consigliati, e poi dolci, pizze, bibite zuccherate”.

Zacchi sfata in un momento anche il mito della pasta che rende magri: “Una volta, non eravamo più magri perché c’erano i piattoni di pasta, ma perché consumavano molto e si mangiava poco! A farci male, è la dieta tipo americana con tutti i suoi grassi saturi e gli zuccheri nascosti, sovrapposta ai nostri consumi tradizionali.

“Mi riesce anche oscuro il legame con il fattore economico. Caso mai, il ridotto potere d’acquisto incide su verdura e frutta, che al contrario andrebbero consumate in quantità. Sfido chiunque a spendere meno dell’equivalente di una porzione di pasta col pomodoro”.

Le etichette sugli scaffali dei supermercati gli danno ragione: per un kg di pasta di semola, si parte da 1,18 euro, esattamente quanto un pacchetto di patatine da 280 gr. In quanto ai pelati, condimento canonico degli spaghetti, le latte da un kg costano 1.77 euro. Se queste sono le cifre, lo sbandierato 20% di aumento sul prezzo della pasta si traduce in una manciata di centesimi, constatazione che fa inorridire il patron di Slow Food Carlo Petrini: “Il vero problema è che si è smesso di dare valore al cibo. Vogliamo pagarlo sempre meno e pretendiamo che sia anche buono: abbiamo delle belle pretese! Certo che esiste una questione legata ai costi del cibo, non per nulla abbiamo lanciato la campagna per la diffusione dei mercati contadini in tutte le città. Ma se non capiamo che nelle priorità di spesa il cibo non può stare dietro l’elettronica, finiremo a mangiare computer e telefonini”.


Data
: 04.06.2008
Autore: Licia Granello per Repubblica
Fonte: leggi la notizia, clicca qui.

Sorry, the comment form is closed at this time.